“Sono
passati troppo in silenzio i primi dieci anni dell’ospedale San Luca,
festeggiati dall’azienda, con la presenza del sindaco e della Regione
ma, senza alcun tipo di dibattito in città e non credo sia casuale.
Quella contrapposizione di cui parlavo prima hanno per anni spostato
l’attenzione sul contenitore e poco sul contenuto, almeno nel dibattito
pubblico, facendo sempre andare l’ospedale alle cronache per le
criticità e troppo poco invece per le sue eccellenze che ci sono e che
meritano di essere valorizzate, anche pubblicamente. Come fa ad essere
attrattivo un presidio ospedaliero se ne parliamo solo per le cose che
non funzionano? Voi lavorereste in un luogo che ogni giorno viene
attaccato per qualche motivo? Ecco io credo che questo non sia stato e
non sia giusto e rispettoso soprattutto per tutti gli operatori sanitari
che ci lavorano e che in questi anni, hanno dimostrato grande
professionalità e competenza. Lo stesso vale per il pronto soccorso di
Lucca. E’ normale che chi lavora in pronto soccorso per fini politici
faccia passare ogni giorno il messaggio che il pronto soccorso non è un
luogo sicuro dove farsi curare?”
“Possibile che la percezione della sanità in Toscana sia peggiore da parte di chi non utilizza i servizi
rispetto a chi invece ne usufruisce? Io non sono assolutamente per tacere le criticità, chiunque mi
conosce sa che non ho mai fatto sconti nemmeno alla mia parte politica su questi temi, sono arrivata
anche a dimettermi dalla presidenza della commissione sociale e sanità in passato, quindi non credo
di poter essere accusata di partigianeria ma trovo davvero poco corretto ogni giorno “sputare nel
piatto dove si mangia” a scapito dei colleghi, di tutti quelli che si sono rimboccati le maniche in un
momento
di grande difficoltà del pronto soccorso lucchese che finalmente inizia
a vedere nuove assunzioni. Che clima può esserci quando sei
costantemente sotto attacco? Ecco io non dico di non
criticare, perché ripeto sono la prima che lo fa, chiedo solo che si rispettino i professionisti che ci
lavorano e anche il lavoro della direttrice senza creare il panico tra le persone contribuendo a creare
sfiducia
nel sistema, questo non serve a nessuno. Serve certo insistere tutti
insieme affinché si continui con il piano di assunzioni perché
l’organico deve essere ancora potenziato, così come deve essere
potenziato l’organico della struttura ospedaliera che non è svincolata dal buon funzionamento del
pronto soccorso, penso alla radiologia, alla radiologia interventistica o per esempio al tema del
servizio
trasporti per i pazienti dimissionari. Lucca ha avuto l’opportunità a
differenza di altre città in Toscana, di avere per tempo un ospedale
moderno, innovativo sia in termini organizzativi che di tecnologia. Ma
per funzionare bene il modello dl alta intensità di cura deve essere in
grado di rimodulare i processi su un numero più ristretto di prestazioni
complesse e ad alta criticità e allo stesso tempo, attivarsi per
garantire e assicurare i servizi anche in altra modalità come per
esempio da remoto, tecnologie evolute e competenze multidisciplinari e
multiprofessionali”.
“Se parliamo di pronto soccorso, bisogna ricordarci che questo non è un imbuto ma, fa parte di una
filiera molto più grande che va dal PS, passa attraverso l’ Ospedale per acuti e arriva su territorio, attraverso
strutture
appropriate come le case di comunità, le RSA, l’hospice etc. L' effetto
imbuto si può superare solo attraverso un forte monitoraggio e una
forte sinergia di lavoro di tutta la filiera che deve essere fortemente
presidiata da tutti i soggetti preposti e che non può non vedere un
grande lavoro in rete, perché sanità, territorio e soprattuto sociale
devono andare di pari passo se vogliamo dare alla popolazione dei
servizi adeguati non solo in termini sanitari ma anche socio sanitari. E
su questo credo che ci sia ancora molto molto da fare e che spetti ai
sindaci, a braccetto con l’azienda, la regione e il territorio nelle sue
articolazioni zonali e con i coinvolgimento del terzo settore. Ed è
evidente come in questo contesto assuma una particolare importanza la
collaborazione tra sociale e sanitario, con l’ovvia necessità di un
coordinamento anche con il terzo settore. Questo non è un passaggio
secondario, riguarda la prevenzione negli accessi al pronto soccorso ma è
soprattuto
un punto di vista di cui oggi non possiamo più fare a meno, perché un
tasso di natalità ai minimi storici e una popolazione che invecchia
facendo aumentare in modo esponenziale l’aspettativa di vita, se
vogliamo salvare il nostro welfare dal collasso e garantire i servizi ai
cittadini non possiamo non lavorare su tutte quelle che sono le
determinanti di salute adottando quello che viene definito approccio ONE
HEALTH, ovvero un sistema integrato che affronti in tutte le politiche
quelle che sono le minacce per la salute, approccio che stiamo adottando
in regione ma che per funzionare deve necessariamente calarsi sul
territorio. E qui dobbiamo fare lo sforzo di lavorare tutti insieme e in
modo integrato cambiando anche i nostri schemi mentali. E qui ritorno
sul sociale perché se vogliamo che la sanità funzioni non possiamo non
avere un sociale forte”.
“Faccio un esempio concreto. Se non
potenziamo l’assistenza domiciliare agli anziani o non potenziamo i
posti letto disponibili nelle RSA e quindi chiedo all’azienda un aumento
delle quote sanitarie, come possiamo pensare che non ci siano poi
utilizzi impropri di posti letti destinati ad altro per esempio? Oppure
tutto il tema della salute mentale, se siamo tra le province con un più
alto consumo di antidepressivi e più alto numero di ricoveri e
riricoveri legati a queste patologie, forse è arrivato il momento di
studiare le cause e provare ad intervenire? Userò una frase banale e
anche fin troppo abusata per chiudere ma non credo che possa esserci
altro metodo se non quello dell’unione che fa la forza, l’epoca del
facciamo tutto da tutte le parti non è più possibile e sostenibile,
cerchiamo davvero di metterci insieme con una visione di territorio e
non di campanile e proviamo finalmente a disegnare tutti insieme in base
ai bisogni di oggi ma soprattutto ai bisogni futuri servizi che siano
in grado di poterci definire davvero comunità”.