Massimo Raffanti giornalista e scrittore lucchese ospite di un importante Festival del libro sportivo in Sardegna.
Il
prossimo 27 settembre, presso l’Antica Casa Olla di Quartu Sant’Elena
(Cagliari) all'interno di "Ideario Sport" - Festival del libro
sportivo, verrà presentato il suo volume "Lo sport avventuroso,
memorie e meditazioni di un pioniere delle discipline del coraggio."
(Passaggio Al Bosco Edizioni)
Il
gradito invito è giunto in questi giorni all'autore, da sempre "sport
man en plain air" e, dal lontano 1984, divulgatore del volo in
mongolfiera in Lucchesia e della figura di Vincenzo Lunardi, suo
coincittadino e settecentesco eroe dell'aria, su cui ha scritto un
libro, realizzato un cortometraggio, oltre ad aver fondato
un'associazione e portato in volo sulla città di Puccini diverse
produzioni televisive straniere (Giappone India ecc)
Ideando
poi, nel 2005, un Trofeo internazionale di Mongolfiere a Capannori
(Lu) al quale, ironia della sorte, non è stato mai invitato quale
ideatore.
Il noto Festival di letteratura sportiva
organizzato dal Comitato regionale Sardegna ,dall’Ente di promozione
sociale e sportiva ASI, in collaborazione con l’Associazione culturale
Ideario, il Comune di Quartu Sant’Elena, con il patrocinio del CONI
Sardegna e dell’USSI Sardegna, intende promuovere e valorizzare i libri
di settore, raccontando le azioni e le imprese di atleti e campioni, le
vicende sportive e personali, i valori e gli esempi, i lati oscuri, i
miti e i riti nelle pratiche sportive, oltre alle personalità di uomini e
donne che sono entrati nella memoria grazie alle loro gesta sportive.
Il Festival utilizza il racconto per indagare su valori e sui riferimenti culturali di questo appassionante universo.
Scrive Alberto Scuderi su CulturaIdentità:
...Raffanti
infatti, dopo una carriera di lungo corso nel giornalismo, fin dagli
anni ottanta ha praticato paracadutismo sportivo e alpinismo, oltreché
aver introdotto pratiche quali il volo in parapendio e la discesa
fluviale in kayak, fino alla grande passione del volo in mongolfiera.
...imperdibile
l’intermezzo presente nel libro -, in Lo sport avventuroso dove
l’autore ha fatto confluire, per certi versi, ognuno di questi tasselli
in un puzzle ben più grande che è la sua vita. Verrebbe da dire
inimitabile, se l’encomio non lo facesse arrossire. Eppure, questo
memoir, che dalla prima all’ultima riga non smette mai di riguardare
anche il più sedentario e pigro degli esseri umani, è innanzitutto un
atto di coraggio.
Prima verso sé stessi, poi, eventualmente, nei confronti del mondo..
Con
un elemento in comune, però: «l’esigenza di un confronto con la grande
natura», spinti dal «sottile piacere d’ammirare nuove prospettive del
mondo, la più grande dimensione d’orizzonte possibile e, non ultimo, il
gusto d’assaporare nuovi ritmi di vita».
Per uscire da una certa idea di “normalità”, dunque, e riconciliarsi con un disegno che trascenda l’umana condizione.
Lo
sport inteso quale «vero e proprio culto di forza interiore»,
«certamente direzionato ad una ricerca d’identità oltre che di dignità;
un traguardo spontaneo e di rapporto con sé stessi.
Per una vita che ognuno ha il diritto di scegliersi».
Come
del resto è capitato a Raffanti, che fin da piccino e, in maniera più
consapevole, da adolescente lo si vedeva correre con il naso all’insù al
campo di Tassignano, vicino Lucca, per assistere ai vari decolli,
atterraggi ed esercitazioni.
...Entusiasmante il
capitolo dedicato alla mongolfiera, l’avventura più leggera dell’aria,
come viene definita. Sogno confesso di chi il cuore non s’è deciso
ancora a venderlo – per “guidarne” qualche esemplare, s’intende -, quei
palloni di pura gioia decollano sempre all’alba «perché è il momento del
risveglio del giorno, dei pensieri positivi di ognuno e di una natura
che, nei colori e nelle ovattate atmosfere del volo può suggerirti
vibrazioni solo intuite ma mai sapientemente razionalizzate».
Un’emozione cui fa da contraltare l’aggressività delle correnti agitate
dei fiumi di montagna da solcare, dove l’entusiasmo delle discese ripide
«si miscela alla paura tramite il brivido di mille cavalcate di
altrettante forze liquide: in un amalgama psicologico speciale e
fascinoso». Quanto del sublime di William Tuner – il grande pittore
inglese delle tempeste di mare e dei vortici – ci sia in un’esperienza
del genere è affare che pertiene ai soli romantici. Categoria di uomini
non comuni, in cui rientra certamente lo sportivo francese citato
dall’autore Guy Ogez, esperto di speciali imbarcazioni come il
kayak-mare. Usata dagli esquimesi per la caccia alla balena, questa è
una canoa leggerissima, buona tanto per il fiume che per l’alto mare
aperto, capace di «rovesciarsi decine di volte» e tornare sempre a galla
«con un colpo subacqueo di pagaia detto “eskimo”».
Impiegata
da Raffanti proprio per le sue caratteristiche in occasione di una
memorabile escursione all’Elba, di cui tuttavia non possiamo riferire
l’esperienza “melvilliana” per rispetto che dobbiamo al lettore: basti
sapere che ogni cosa accade per essere raccontata, magari davanti a
dell’ottimo vino gustato al tramonto.
Dunque,
l’avventura sportiva, ci pare di aver capito arrivati fin qui, è
soprattutto un’elevazione dello spirito in grado di formare il
carattere, figlio più che mai delle nostre decisioni, delle scelte che
ogni giorno prendiamo in un senso o nell’altro – e a tal proposito, la
postfazione di Matteo Colnago dice parole definitive. La passione della
montagna – cui Raffanti dedica la parte finale del libro – da questa
prospettiva non può consistere in altro che in una fiera scoperta
dell’Io profondo. Raggiunto per mezzo di sentieri, arrampicate, vedute,
luci e silenzi. Tra i materiali contenuti in appendice al volume,
insieme a una intervista all’alpinista Reinhold Messner, di grande
interesse è il contributo – pubblicato nel febbraio 1936 su “Rivista
mensile del CAI” con il titolo “Meditazioni delle vette” – di uno
studioso che di spirito se ne intendeva, l’esoterico filosofo Julius
Evola (1898-1974), secondo cui «la spiritualità della montagna
corrisponde a ciò che, nel senso più alto, severo e universale, può
chiamarsi tradizione». Cioè a dire una storia impastata con il mito,
fatta di simboli e analogie che le vette più alte hanno da sempre
rappresentato agli occhi dell’uomo antico. Il solo ad aver trasformato
l’esperienza della montagna, scalandola con eroico slancio, «in un modo
d’essere». Il solo modello d’uomo, infine, cui richiamarsi potrebbe
voler dire salvarsi dalle catene degli obblighi e dalla monotonia del
grigiore quotidiano.