Le opere dell’Altomedioevo esercitano un indubbio fascino in termini estetici e talvolta sono vere e proprie fonti d’ispirazione artistica. In Toscana, tutto questo sembra avvenire con maggior frequenza tra XI e buona parte del XII secolo, prima dell’assoluto prevalere come linea vincente del naturalismo di derivazione classica.
In più, un simile successo non può che presupporre anche l’esistenza di un gusto e di un pubblico che apprezza il decorativismo astratto altomedievale, malgrado dalla nostra prospettiva di moderna e post-rinascimentale venerazione della Classicità possa sembrarci apparentemente impossibile. In Toscana, tutto questo sembra avvenire non solo ma con maggior frequenza tra XI e buona parte del XII secolo, prima dell’assoluto prevalere come linea vincente del naturalismo di derivazione classica che già a queste date muove i suoi primi passi.
Gli studi sul fenomeno del reimpiego, e più estesamente del recupero,
 dell’Antico nel Medioevo si sono finora prevalentemente concentrati sul
 ricorso a elementi scultorei dell’Antichità greco-romana.
Tuttavia, benché in misura minore, alcuni cantieri architettonici d’età 
romanica talvolta impiegano in modo esibito frammenti provenienti da 
arredi liturgici realizzati tra VIII e IX secolo. Accanto a reali 
episodi di riuso, è possibile, inoltre, riconoscere casi di pseudospolia,
 cioè sculture che si fingono elementi di recupero tentando di apparire 
più antiche e parte di un insieme scomposto in realtà mai esistito. 
Oltre all’esibizione di spolia autentici o solo apparenti, 
incontriamo infine sculture e decorazioni architettoniche vivacemente 
arcaizzanti che recuperano retrospettivamente stilemi e soluzioni 
altomedievali, rielaborandoli con grande libertà e fantasia. Una simile 
casistica viene ripercorsa, per la prima volta in questo studio, 
considerando una serie di edifici romanici della Toscana, affascinati a 
vario titolo dall’astrattismo altomedievale. L’analisi 
stilistico-formale dei frammenti scultorei e dei contesti architettonici
 entro cui si trovano reinseriti, unita all’impiego di fonti storiche e 
archeologiche, permettono, nella più totale assenza di documentazione 
che ne dia ragione, di tratteggiare per tale scelta culturale una 
pluralità di possibili motivazioni di volta in volta estetiche, 
politico-istituzionali e religiose.
Gianluigi Viscione ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Firenze discutendo una tesi sul fenomeno del reimpiego di materiale scultoreo altomedievale, la realizzazione di falsi spolia e i casi di arcaismo in Toscana e Abruzzo. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna nell’ambito di un progetto di ricostruzione digitale dell’assetto duecentesco del complesso di San Domenico. I suoi temi di ricerca abbracciano il reimpiego e il recupero del linguaggio astraente della scultura dell’Altomedioevo, le forme dello spazio liturgico, la scultura funeraria, l’architettura altomedievale del Mezzogiorno e le relazioni artistiche tra le sponde del Mediterraneo.