Il Mandostan alle Olimpiadi di Torino 2006: storia di uno scherzo diventato leggenda
Nel febbraio del 2006, mentre Torino viveva il fermento delle Olimpiadi Invernali, accadde qualcosa di improbabile, assurdo e irresistibilmente geniale: comparve una nazionale sconosciuta, proveniente da un Paese che nessuno aveva mai sentito nominare. Il Mandostan.
No, non era un nuovo Stato ex sovietico. Non era una repubblica asiatica appena riconosciuta dal CIO.
Era uno scherzo. Uno di quelli preparati con cura, fantasia e un pizzico di faccia tosta.
L’idea: inventare un Paese intero
Tre amici italiani – romani, catanesi e torinesi – decisero di sfruttare l’atmosfera internazionale dell’evento per portare in scena una piccola opera teatrale improvvisata: creare un Paese immaginario e fingersi la delegazione ufficiale.
Scelsero un nome dal suono credibile ma completamente inventato: Mandostan.
Dove sarebbe stato?
“Tra Pakistan e Kisadostan, dalle parti della Mongolia”, dicevano con assoluta naturalezza.
Per dare corpo alla storia si presentarono con:
magliette personalizzate,
cappellini e bandiera del Mandostan,
atteggiamento da veri atleti freestyle.
Il colpo di genio fu la coerenza totale: parlavano come se la loro partecipazione fosse ovvia, come se tutti avessero già visto la bandiera del Mandostan durante la cerimonia d'apertura.
La reazione della gente
Funzionò. Troppo bene.
Tra locali, feste e piste olimpiche, moltissime persone credettero alla loro nazionalità fasulla. Atleti veri, turisti, volontari: tutti incuriositi da quel Paese misterioso.
C’era chi chiedeva:
“Ma in che specialità gareggiate?”
E loro, senza esitare:
“Freestyle, ovvio.”
Il Mandostan diventò un micro-cult locale, un piccolo fenomeno sotterraneo. Perfino alcuni volti noti dello spettacolo finirono per salutarli come se fossero davvero una delegazione esotica arrivata in Italia per gareggiare.
La stampa se ne accorge
Lo scherzo non rimase confinato al passaparola.
La Repubblica dedicò un articolo al Mandostan, raccontando la storia di quei ragazzi che, con una trovata semplice ma geniale, erano riusciti a prendersi un pezzetto di gloria olimpica… senza essere invitati.
Questo diede allo scherzo un’aura ancora più “ufficiale”: se ne parlava nei blog dell’epoca, nei forum, nelle cronache leggere delle Olimpiadi. Il Mandostan cominciò a vivere una seconda vita online.
Perché è diventato epico
Il Mandostan funziona perché colpisce un punto debole perfetto: la fiducia spontanea che si crea durante eventi internazionali.
Maglietta, bandiera, sicurezza di sé = credibilità immediata.
È uno scherzo intelligente, teatrale, affettuoso verso lo spirito olimpico.
Non sfotte, non deride, non offende.
Semplicemente inserisce una storia inventata dentro un contesto reale e lascia che il pubblico la prenda per buona.
E soprattutto mostra una verità eterna: se ti comporti come se appartenessi a un posto… spesso gli altri ti credono davvero.
Eredità
Oggi il Mandostan non compare nel medagliere, non appare in nessun archivio sportivo, ma continua a vivere come uno dei piccoli miti pop delle Olimpiadi di Torino 2006.
Un ricordo divertente di un tempo in cui tre ragazzi hanno deciso che un Paese immaginario meritava il suo momento sul palcoscenico mondiale.
E in fondo, in quel breve lampo di follia olimpica, il Mandostan è stato reale quanto basta.
Riferimenti :
Repubblica Archivio :
Fate passare gli atleti del Mandostan
SESTRIERE - E' spuntato l' 85º paese partecipante ai Giochi, al Cio non lo sapevano mica. E' il Mandostan ragazzi, paese pseudoasiatico con tre (finti) atleti di freestyle, popolazione di quattro persone. «E' vicino al Kisadostan, dalle parti della Mongolia: capisci?» dicono a tutti, e tutti dicono di rimando «ah, ok». Sono i Tognazzi & compagni olimpici. Sono un romano che vive in Russia, un catanese futuro ingegnere ed un torinese con voglia di giornalismo e d' Australia: si aggirano cercando d' intrufolarsi dappertutto, giurano di essersi allenati sulle piste: «Un americano m' ha addirittura regalato gli occhiali: costano un botto». «A me un altro mi ha offerto qualcosa da fumare, e mi ha chiesto come mi ero piazzato: gli ho dovuto dire che ero uscito subito fuori pista.» Sulle montagne di mattina, immancabili nei locali più in le sere. «Oh, il dj Albertino ci ha pure salutato: ho il video». Hanno le magliette, la bandiera, i cappellini. Manca solo la giacca a vento: «E' per la cerimonia di chiusura. Sul serio...
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/02/18/fate-passare-gli-atleti-del-mandostan.html
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