Il giornalismo locale che ha smesso di fare domande

C’è una sensazione sempre più diffusa aprendo i quotidiani locali: la sensazione di aver già letto tutto. Cambia la testata, cambia il logo in alto, ma i contenuti restano identici, come fotocopie un po’ sbiadite. Stesse parole, stessi tagli, stessi silenzi. Articoli che sembrano usciti da un unico comunicato stampa, riscritti in fretta e pubblicati senza che nessuno si sia preso la briga di fare una domanda in più, di andare a vedere davvero come stanno le cose. Un tempo il giornalismo locale era il luogo dell’indagine concreta. Si parlava di lavoro, di cantieri eterni, di strade lasciate a pezzi, di quartieri dimenticati, di problemi sociali che non facevano rumore ma pesavano sulle persone. Il cronista conosceva i luoghi, i volti, le storie. Si sporcava le scarpe, entrava negli uffici, tornava indietro con appunti veri e qualche nemico in più. Era normale. Faceva parte del mestiere. Oggi troppo spesso quel mestiere sembra ridotto a una catena di montaggio. Non sempre scrive un giornalista nel senso pieno del termine, ma un pubblicista sottopagato, precario, costretto a produrre pezzi in serie. Non c’è tempo per verificare, figurarsi per indagare. L’obiettivo non è capire, ma riempire lo spazio. Così le notizie diventano veline, spesso politiche, altre volte semplicemente innocue. Tutto liscio, tutto neutro, tutto uguale. Il risultato è un’informazione che non disturba nessuno e quindi non serve a nessuno. Le manutenzioni mancate diventano “disagi”, i problemi strutturali diventano “criticità”, i conflitti sociali si riducono a cronaca minima o spariscono del tutto. Nessun approfondimento, nessuna responsabilità chiamata per nome. Solo comunicati rilanciati, eventi raccontati come brochure, polemiche annacquate fino a non fare più male. Quando un quotidiano vale l’altro, il problema non è il lettore che si disaffeziona. Il problema è un sistema che ha rinunciato alla sua funzione principale: controllare, raccontare, spiegare. Il giornalismo non nasce per fare compagnia al potere, ma per metterlo a disagio quando serve. Se smette di farlo, resta solo una cronaca stanca, intercambiabile, che informa poco e rassicura troppo. E forse la domanda più scomoda è proprio questa: se nessuno fa più domande, chi racconterà davvero le città in cui viviamo? Perché una comunità senza un giornalismo vivo non è solo meno informata. È più sola.
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