Gli ibaditi: una via antica e sobria dell’Islam in un mondo che urla
Gli ibaditi sono una delle correnti più antiche dell’Islam, spesso poco conosciuta e quasi mai al centro delle cronache. Nascono nei primi decenni dopo la morte di Maometto, in un periodo segnato da conflitti politici e religiosi molto duri. Proprio da quel clima teso prende forma la loro identità: una ricerca di equilibrio, di rigore morale e di distanza dagli estremismi che già allora laceravano la comunità musulmana.
Dal punto di vista dottrinale, l’ibadismo si distingue sia dal sunnismo sia dallo sciismo. Gli ibaditi credono in un Islam essenziale, sobrio, dove contano più i comportamenti quotidiani che le dichiarazioni roboanti. La fede non è qualcosa da esibire, ma da praticare. Grande importanza viene data alla giustizia, all’onestà personale, alla responsabilità individuale e alla coesione della comunità. L’autorità religiosa non è vista come carismatica o assoluta: il capo deve essere scelto per merito e rettitudine, e può essere rimosso se non agisce in modo giusto.
Oggi gli ibaditi sono presenti soprattutto in Oman, dove rappresentano una parte significativa della popolazione, e in alcune aree del Nord Africa, come l’isola di Djerba in Tunisia, il Mzab in Algeria e Zanzibar. In questi luoghi hanno sviluppato comunità molto organizzate, discrete, spesso laboriose, con un forte senso di solidarietà interna e una lunga tradizione di convivenza con persone di altre fedi.
La loro visione del mondo contemporaneo è forse l’aspetto più interessante. In un’epoca segnata da radicalizzazioni, slogan urlati e contrapposizioni nette, gli ibaditi mantengono una posizione prudente. Rifiutano la violenza religiosa e guardano con sospetto a ogni forma di estremismo, convinti che la fede non possa essere imposta né difesa con le armi. Per loro il vero credente non è chi divide il mondo in puri e impuri, ma chi cerca di vivere in modo etico anche in mezzo alle contraddizioni della modernità.
Questo atteggiamento li rende poco visibili, quasi silenziosi, ma anche sorprendentemente attuali. Mentre molti movimenti religiosi reagiscono alla globalizzazione irrigidendosi, gli ibaditi tendono a rispondere con la continuità: studiare, lavorare, amministrare con equilibrio, dialogare senza rinunciare alla propria identità. Non inseguono il proselitismo aggressivo, né cercano lo scontro culturale. Preferiscono restare una minoranza coerente piuttosto che una maggioranza rumorosa.
In fondo, la loro proposta è semplice e quasi disarmante: in un mondo sempre più radicalizzato, la fede può essere una pratica di responsabilità e misura, non un’arma. Una posizione che non fa notizia, ma che forse, proprio per questo, merita di essere ascoltata con un po’ più di attenzione.
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