Comunicato sulla manovra pensionistica 2026
Comunicato sulla manovra pensionistica 2026
Come comitato socialista leninista nato a Lucca sentiamo il dovere di prendere parola davanti a ciò che sta accadendo sulle pensioni, perché dietro il teatrino di Palazzo si consuma un attacco frontale alle condizioni di vita di chi lavora oggi e di chi lavorerà domani.
La legge di bilancio è stata presentata come un continuo tira e molla, tra emendamenti annunciati, ritirati e poi rispuntati all’ultimo momento. Ma sotto questa confusione studiata a tavolino il disegno è chiarissimo: peggiorare ulteriormente l’impianto della legge Fornero e far pagare il conto ai lavoratori per finanziare imprese e rendite.
Il governo ha provato a inserire una stretta pesantissima sulle pensioni, facendo slittare l’uscita dal lavoro, svuotando di senso il riscatto degli anni di studio e mettendo le mani sul Tfr dei nuovi assunti con il trucco del silenzio-assenso. Davanti alle proteste e all’evidente imbarazzo politico, soprattutto per la palese smentita delle promesse elettorali, ha fatto una finta marcia indietro. Finta, perché i punti più convenienti per il capitale sono rimasti tutti al loro posto.
L’età pensionabile continua a salire legata all’aspettativa di vita, i canali di uscita anticipata vengono ristretti, spariscono le possibilità di cumulo dei contributi e vengono tagliate progressivamente le risorse destinate ai lavoratori precoci e a chi svolge lavori usuranti. In prospettiva, significa meno pensioni anticipate, più anni di lavoro forzato e assegni sempre più bassi. Altro che tutela delle fasce deboli: qui si colpisce proprio chi ha iniziato a lavorare presto o in condizioni pesanti.
Il Tfr, che per milioni di lavoratori rappresenta una sicurezza concreta, viene di fatto dirottato verso la previdenza integrativa e i fondi finanziari, con buona pace della libertà di scelta. È un trasferimento di ricchezza dal lavoro alla finanza mascherato da modernizzazione.
Quello che emerge è una linea politica coerente, non un errore tecnico o una “manina”. Si cancellano uno dopo l’altro tutti i correttivi che negli anni avevano attenuato gli effetti più duri della Fornero, lasciando in piedi un sistema che spinge l’età pensionabile sempre più avanti, fino a sfiorare livelli insostenibili per la maggioranza delle persone.
Il governo ha fatto un passo indietro solo per convenienza elettorale, ma la direzione di marcia resta la stessa: far lavorare di più, andare in pensione più tardi e con meno diritti. Di fronte a questo scenario non bastano indignazione e slogan. Serve organizzazione, conflitto e una risposta collettiva nelle piazze e nei luoghi di lavoro. Perché le pensioni non sono un privilegio, sono salario differito, frutto di una vita di fatica. E chi le tocca, tocca la dignità di tutti.
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