Il
merito? Un’infatuazione che unisce tutti: conduttori televisivi,
uomini e donne della politica corrente, sedicenti intellettuali,
orrendi protagonisti della televisione-spazzatura, tuttologi
profumatamente retribuiti, e, purtroppo bisogna ammetterlo, tanti,
tanti insegnanti… Quando su qualsivoglia problema non hai più
argomenti sensati, allora è il caso di sbattere giù un po’ di
meritocrazia e sei sicuro di aver fatto la tua bella figura. E,
invece, è una stupidaggine; o, per dirla colta, una tautologia,
ovvero un’affermazione che non contiene in sé nessun carattere
informativo. Solo una parola di uso e abuso comune e recente,
recuperata per giustificare i privilegi di alcuni, sempre i soliti,
alle spalle di altri, anche quelli sempre i soliti, ribadendo ad
libitum
una sorta di differenziazione razziale tra esseri inferiori e
superiori. Ora, provate a dare un’occhiata alle nomenklature:
quella universitaria in
primis,
poi la giornalistica, la televisiva, la politica, quella dei Consigli
d’amministrazione delle grandi aziende pubbliche, semipubbliche e
private… Troverete mogli e figli, fratelli e sorelle, cognati e
nipoti dei Potenti in una commovente riscoperta della famiglia
allargata e patriarcale. E poi gli amici e gli amici degli amici e i
congiunti dei primi e dei secondi. Tutti meritevoli? Certo che no,
però sono loro ad aver stabilito i criteri, le classifiche e
l’ordine di arrivo. Eccolo, dunque il merito: un territorio
popolato per lo più di arroganti e competitivi, boriosi e
aggressivi. Un luogo dove sono messi al bando i gentili e i
tolleranti, gli affabili e i sensibili… E, come conseguenza, da
anni l’ascensore sociale è fermo, occupato dai soliti noti.
No, meritocrazia non fa rima con democrazia e lo aveva già compreso Giuseppe Gioachino Belli cento e ottanta anni fa:
Er merito
Merito dite? Eh ppoveri merlotti!
Li quadrini, ecco er merito, fratelli.
Li ricchi soli sò bboni, sò bbelli,
sò ggrazziosi, sò ggioveni e ssò ddotti.
A l’incontro noantri poverelli
tutti schifenze, tutti galeotti,
tutti ddegni de sputi e de cazzotti,
tutti cucuzze in càmmio de scervelli.
Fa ccomparì un pezzente immezzo ar monno:
fussi magàra una perla orientale,
Presto cacciate via sto vagabonno.
Tristo chi sse presenta a li cristiani
scarzo e ccencioso. Inzino pe le scale
lo vanno a mozzicà ppuro li cani.
Luciano Luciani