La sezione di Italia Nostra ha ricevuto e volentieri propone alla stampa questa lettera di un cittadino lucchese che riflette su cosa rischiamo di perdere se continuiamo a considerare la città SOLO una ‘quinta pittoresca per eventi’ che abbiano il solo scopo di generare denaro.
Lucca, la città scomparsa
Non c'è un centro (storico) c'è una città storica, perché quel complesso di abitazioni, chiese, conventi, piazze e strade, e poi di persone e di attività, era una città a tutti gli effetti, fisici, sociali e comunitari. Non il centro di qualcos'altro.
Senza residenti non c'è città. Né storica né d'altro tipo.
(da una intervista a Pier Luigi Cervellati Intervista di Francesco Erbani, Rep.repubblica.it, 11 novembre 2018)
Lucca, non esiste più: è scomparsa, finita, estinta, dissolta nel nulla, irrimediabilmente persa.
Ne resta traccia fugace nella memoria degli uomini, nei libri di storia e di architettura, ma anch’essa presto svanirà. Anzi, prima accadrà meglio sarà per tutti, per tutti noi che l’abbiamo amata e vi abbiamo vissuto a lungo senza accorgerci di quello che stava accadendo, senza riuscire a fermare tutto ciò, colpevoli per omissione e ignavia, non meno colpevoli di coloro che scientemente hanno operato perché la città sparisse.
Ricordo la mia prima volta a Lucca a metà degli anni ‘80. Quello che sarebbe diventato il primo e migliore tra gli amici lucchesi, a bordo della sua A 112 bicolore mi portò a San Martino per mostrarmi Ilaria del Carretto, di cui avevo solo vaghi ricordi risalenti agli studi liceali. Allora il monumento funebre stava nella navata sinistra, alla quale si accedeva scostando un pesante tendaggio che nei giorni d’estate schermava l’ingresso e smorzava la luce naturale che dall’alto avvolgeva l’opera di Jacopo e che celava, più che mostrare, il marmo, raffigurazione antica e immutabile della bellezza in vita e dopo la morte, autentico simbolo di immortalità.
Così era Lucca, un po' come Ilaria: nascosta e bellissima.
Da decenni anche Ilaria ha smesso di esistere, trasportata con vari pretesti in una angusta sagrestia, male illuminata da lampadine abbaglianti la cui luce tutto appiattisce, circondata da un cordone penitenziale, la dama si offre in cambio di pochi euro a folle inconsapevoli della sua passata bellezza.
Lucca non esiste più. Esistono le sue mura, le sue chiese romaniche “di commovente bellezza”, i suoi vicoli medievali, le sue corti nascoste, i suoi muri scrostati, le sue fontane. Tutto ciò però non costituisce più una città. È solo una quinta, uno sfondo pittoresco per gli innumerevoli “eventi” che giorno dopo giorno si susseguono: festival, convegni, incontri, sfilate di maschere e costumi bizzarri e poi matrimoni, feste immaginarie e, da ultimo, carnevali. Anzi, ormai il carnevale è perenne, un ininterrotto divertimento per le migliaia, decine, centinaia di migliaia che si ammassano in questo luogo, un tempo discreto e raccolto.
Certo, in cambio il danaro scorre, più o meno per tutti. Danaro contante che frutta danaro e ancora altro danaro, ma che non riesce a trasformarsi in niente di nuovo, di bello o solo di utile e stabile, niente che si possa paragonare a ciò che si è ceduto in cambio e che è perduto per sempre. Che non è solo lo spirito di un luogo, non è solo la sua identità (strana parola di cui molti parlano, ma che pochi sanno riconoscere quando è ormai perduta), non sono solo i suoi abitanti e le attività o commerci tipici, è la città stessa.
Un cittadino lucchese