Per la Giornata del Ricordo quest'anno l'Istituto Storico della
Resistenza ha organizzato un incontro con Don Franco Cerri, già parroco
di Lunata, ora a San Giusto in città, profugo da Zara nel 1948, uno dei
1200 esuli giuliani, come i miei nonni provenienti da Pola e Rovigno,
che furono accolti al centro raccolta profughi del Real Collegio. Franco
era nato nel '38, aveva 10 anni quando arrivò a Lucca, con la sua mamma
e il suo fratello. Nel '44 i partigiani jugoslavi avevano rastrellato
una cinquantina di italiani, segnalati da alcuni solerti zaratini. Il
suo babbo era uno di quei 50 italiani che furono portati all'isola di
Ugljan al largo della Dalmazia, furono tutti trucidati e gettati in
mare. Franco ebbe solo il tempo di salutarlo per l'ultima volta, per
poi non rivederlo mai più. Si è commosso raccontando questa storia così
dolorosa per lui e la sua famiglia, gli veniva da piangere. Oggi ha 85
anni, ma mi è parso di rivedere quel bambino di allora, che tanto ha
sofferto, prima di fare il prete e diventare una guida spirituale per
molti lucchesi.
Ha anche raccontato di essere tornato a Zara con la sua mamma, di
aver rincontrato uno di quei delatori che causarono l'uccisione di suo
padre, e di averlo perdonato: "non si può perdonare l'omicidio, né si
possono cancellare gli effetti di quel male, ma si possono perdonare gli
uomini". Il tema delle foibe e dell'esodo è stato purtroppo anche
quest'anno oggetto di strumentalizzazioni politiche. Prendendo esempio
dalla testimonianza di don Franco, che ha patito sulla sua pelle la
complessa vicenda del confine orientale, impegniamoci come comunità,
invece che dividerci tra opposte fazioni, a costruire una prospettiva di
pace, e la giornata del ricordo diventi un'occasione di
riconciliazione.
Gabriele Cisetti
Un lucchese nipote di esuli istriani
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