Stiamo vivendo un’epoca in cui la consapevolezza sulla questione animale è cresciuta e
continua a diffondersi.
La concezione dualistica di matrice cartesiana, che ha segnato una netta distinzione tra gli
esseri umani e la natura, sta lasciando spazio a una visione che allarga la prospettiva
dell’etica.
Stiamo parlando del paradigma filosofico, ma anche scientifico, che vede gli animali come
creature dotate di una propria coscienza, capaci di provare ed esprimere sentimenti,
di intessere relazioni, di amare e soffrire.
L’etologia ha portato alla luce nuove e più approfondite conoscenze sull’intelligenza e la
sensibilità degli animali e questo vale anche per quelli considerati ancora come merci,
gli animali cosiddetti “da reddito”.
Per questo, se un tempo ormai passato, alcune consuetudini potevano trovare una
giustificazione e un senso dovuti alla mancanza di consapevolezza e informazione, oggi non
sono più giustificabili, se non in nome del profitto.
Ci si appella alla tradizione per giustificare il perpetrarsi di pratiche finalizzate
prevalentemente agli interessi economici, senza valutare il fatto che oggi le moderne
conoscenze e sensibilità stanno ribaltando la prospettiva antropocentrica.
Sono in costante aumento, infatti, le persone che decidono di “dare voce” agli animali in
vari modi, attraverso l’attivismo sul campo o scegliendo un’alimentazione vegetale.
Lo abbiamo visto sabato 7 ottobre a Milano, alla manifestazione indetta dalla
“Rete dei Santuari di Animali Liberi in Italia”, cui hanno preso parte quasi 20.000 persone,
alcune di loro scese in piazza per la prima volta, altre provenienti anche dall’estero.
Un evento imponente, indetto in seguito ai cruenti abbattimenti di 9 maiali ospitati al rifugio
“Progetto Cuori Liberi” di Pavia (una delle zone colpite dalla peste suina africana);
una mattanza che ha risvegliato molte coscienze ed ha acceso un faro sulle modalità della
filiera zootecnica, sotto lo slogan “cuori liberi, non prosciutti”.
Si è trattato di un risveglio morale mai visto prima nei confronti di animali considerati
esclusivamente come numeri, codici a barre, merci; è innegabile che sia in atto un cambio di
paradigma filosofico e di coscienza destinato ad allargarsi a macchia d’olio, che abbraccia i
temi dell’etica, dei diritti e dell’ecologia.
Non possiamo parlare di contrasto alla violenza per compartimenti stagni, senza considerare
anche quella perpetrata sulle altre specie e di conseguenza sulla biodiversità e sull’ambiente.
Tutte le forme di subordinazione e di abuso (il sessismo, il razzismo, lo specismo) sono
infatti legate dallo stesso filo rosso ed hanno una matrice comune.
Chi è impegnato nella tutela dei diritti in generale non può prescindere dal riflettere sul
trattamento riservato agli animali nella società odierna.
Perché se i cosiddetti “animali da affezione” godono ormai di tutta una serie di tutele sia
etiche che legali, lo stesso non vale per quegli individui destinati alla filiera alimentare come
per i selvatici.
Se da un lato dunque stare “dalla parte degli animali” è divenuta un’attitudine sempre più
diffusa e “normalizzata”, dall’altra è stata dichiarata una vera e propria guerra nei confronti
di alcune specie, come dimostra il recente emendamento governativo sulla caccia selvaggia
(secondo l’ONU il 48% delle specie animali e vegetali è a rischio estinzione).
Si tratta di un attacco mirato ad arrestare il cambiamento morale in corso, che descrive gli
animali come un nemico da subordinare, sfruttare, annientare.
La cultura della supremazia e del dominio si rafforza su più livelli nella società, esaltando
quelle caratteristiche legate alla competizione e alla sottomissione di quei corpi ritenuti
“diversi”.
C’è chi vive una vera e propria dissociazione che porta ad amare il proprio animale
domestico, ma a ignorare tutti gli altri.
I media documentano le atrocità degli allevamenti intensivi, ma si preferisce far finta che
questi luoghi non esistano. Eppure le zoonosi scaturiscono e si propagano con più frequenza
e velocità rispetto al passato, per il trattamento ingiusto e crudele che riserviamo agli esseri
senzienti.
La nostra società non è del tutto cosciente dell’ingiustizia profonda che ci circonda e della
sofferenza che cerca di occultare, a partire da quella degli animali.
Come affermava la filosofa americana Karen Warren ci riteniamo inaffondabili, proprio
come il “Titanic”, ma l’irrazionalità di un sistema così violento non può che condurci
all’autodistruzione.
Dovremmo fermarci a riflettere per comprendere la nostra interconnessione con la natura e
gli animali, che giudichiamo in base ai nostri codici e parametri, ma che dovremmo
rispettare nella loro diversità.
Stiamo parlando di individui che rappresentano il nostro lato più innocente e libero: ignorare
e persino odiare gli altri esseri viventi è un po’ come limitare e persino uccidere una parte di
noi.
Essi non vogliono somigliarci, preservano purezza e integrità, nonostante tutto quello che
gli stiamo facendo; ma è la prospettiva empatica quella che può salvarci, uno sguardo nuovo
sul mondo e tutti i suoi abitanti.
Quello che portò la filosofa Val Plumwood a rispettare e salvare da morte certa il suo
“aggressore”: un coccodrillo.
Il rettile attaccò la scrittrice mentre si trovava in canoa, da sola, nel parco Kakadu in
Australia. Riuscì a salvarsi fuggendo a piedi, ferita, per alcuni chilometri.
Un incidente che fece scaturire profonde riflessioni nell’attivista australiana, in particolare
sul ruolo degli esseri umani nella catena trofica e sulla biodiversità.
Il racconto dell’incidente fu manipolato dai media come mezzo di propaganda contro chi si
batteva per la difesa dei coccodrilli, ma una volta uscita dall’ospedale la studiosa riuscì a
raccontare la propria versione e la sua scelta di non voler uccidere l’animale.
Una grande lezione di umiltà e di rispetto verso le altre creature che con noi condividono la
catena della vita.
Nella Giornata Internazionale della Pace, celebrata lo scorso 21 settembre, la scienziata
Jane Goodall ci ha ricordato come tutelare gli animali oggi equivalga a salvare noi stessi e il
futuro della Terra, sta a noi scegliere da che parte stare.
Elena Franceschini, volontaria e attivista LAV