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  • 05/09/2022 20:37

La sanità senza medici né infermieri. Ai partiti manca ancora una ricetta

Il nodo della scarsità di personale sanitario nelle strutture da Nord a Sud viene affrontato solo per sommi capi. Il “mantra” della riforma dei servizi territoriali La sanità senza medici né infermieri. Ai partiti manca ancora una ricetta Ansa COMMENTA E CONDIVIDI C'era una volta la riforma della sanità. Nel senso che la sanità, nel nostro Paese, andrebbe riformata da sempre. E questo nonostante le numerose “riforme” promesse, annunciate, mai davvero realizzate che si sono susseguite nel corso degli anni e delle legislature. Fino all’ultima, quella accompagnata dal pacchetto (mai così consistente) di fondi previsto dal Pnrr e con cui – volenti o nolenti – i partiti dovranno fare i conti nel difficile compito di governare l’Italia negli anni a venire. I pilastri dell’agenda presentata a Bruxelles li abbiamo descritti più volte su queste pagine e sono stati plasmati a partire dalla crisi pandemica, che si è abbattuta sui sistemi sanitari (non solo quello italiano a dire il vero) con esiti dirompenti: priorità del cambiamento sono così diventati il ripensamento dei servizi in chiave territoriale, il rinnovamento delle strutture di assistenza e delle strumentazioni a disposizione di queste ultime, l’attenzione al tema della prevenzione. Un pacchetto di interventi su cui il mondo della sanità si è confrontato, a tratti anche aspramente, evidenziandone i limiti: primo fra tutti quello legato agli organici, che rappresentano la prima, drammatica emergenza da affrontare per costruire (o ricostruire) un sistema in grado di garantire cure a tutti e ciascuno. Anche perché le cure fino a prova contraria – per quanto avanzate, per quanto capillari, per quanto finanziate – i medici le decidono e gli infermieri le garantiscono. L’Italia non ha mai avuto così tanta fame di medici. Ne mancano ad ogni livello, dagli studi di base disseminati tra le città e le province alle corsie sovraffollate dei Pronto soccorso fino ai reparti specializzati. E andrà sempre peggio, se è vero quello che i dati ripetono ormai da anni: entro il 2028 ci troveremo con quasi 80mila camici bianchi in meno, suddivisi quasi equamente tra medici di base e ospedalieri. Non ci sono buone notizie nemmeno sul fronte degli infermieri: anche loro decimati, al punto che con un vuoto stimato attorno ai 60mila posti rispetto alla media degli altri Paesi europei, la stessa riforma messa in campo dal Pnrr potrebbe fallire nel suo ambizioso capitolo inerente i servizi territoriali (ospedali e case di comunità) proprio per la carenza di personale con cui far funzionare le nuove strutture. Con questi numeri l’attesa, rispetto a qualsiasi programma elettorale, era quella di proposte concrete e immediate da mettere in campo quanto meno per tamponare l’emorragia, se non per arrestarla del tutto. E alcune di queste misure le aveva messe bene a fuoco la Federazione nazionale degli ordini dei medici, invocando tanto per far qualche esempio l’eliminazione del tetto di spesa per il personale (riferito ancora al 2004), l’aumento delle borse di studio per la formazione specifica in Medicina generale, la corrispondenza tra il numero di lauree in Medicina e i posti nelle Scuole di specializzazione e allo stesso Corso di formazione per la Medicina generale, il riconoscimento delle attività professionalizzanti e assistenziali degli specializzandi. Niente che sia messo prioritariamente a tema dai partiti, in quelli che sono o freddi elenchi di proposte “a spot” (è il caso del programma del Movimento 5 stelle, più interessato alle «interferenze della politica nelle nomine dei dirigenti sanitari» che al tema del personale, toccato con un generico «aumento delle retribuzioni») o riassuntoni più o meno particolareggiati dell’agenda del Pnrr (il Pd, molto attento a rivendicare i risultati già raggiunti nei mesi di governo Draghi, è pronto a un non meglio specificato «Piano straordinario per il personale del Ssn») o ancora slogan e promesse privi di una visione di sistema (caratteristica del programma comune del centrodestra, in cui si legge di un «incremento dell’organico di medici e operatori sanitari» e di «una riorganizzazione delle Scuole di specializzazione», senza però ulteriori, necessari dettagli). Solo la Lega, nel suo programma specifico, mette nero su bianco la proposta dell’abolizione del numero chiuso a Medicina, mentre Fratelli d’Italia parla di «accesso per tutti al primo anno e selezione per il passaggio al secondo». Il programma di Azione e Italia Viva alla «formazione e gestione delle risorse umane» riserva invece un ampio capitolo, anche in questo caso tuttavia senza proposte specifiche né tanto meno una quantificazione degli investimenti necessari a metterle in campo. Organici a parte, gli altri temi toccati dai programmi elettorali sono dei “grandi classici” della sanità nostrana. Si comincia con la riduzione delle liste d’attesa: il Pd si impegna a dimezzare entro il 2027 i tempi massimi per esami diagnostici e interventi, riformando l’attuale Piano nazionale con l’introduzione di un sistema di incentivi-sanzioni e di mobilità tra strutture sanitarie; il centrodestra anche, vuole ridurre le “file”, con l’aggiunta di un’estensione delle prestazioni esenti da ticket. Secondo cavallo di battaglia, la riforma del titolo V della Costituzione: obiettivo comune ai programmi dei Cinque stelle e del Terzo polo è quello di riportare la salute dalla gestione spesso fallimentare e segmentata delle Regioni a quella dello Stato. Ancora, il rapporto tra pubblico e privato e il tema – reso più che mai attuale dall’emergenza Covid – della riforma della sanità territoriale: capitoli toccati in tutti i programmi con generiche proposte di capillarizzazione e collaborazione, di cui le campagne elettorali degli ultimi vent’anni sono state più o meno infarcite. E questo nonostante un altro appello drammatico, stavolta lanciato dall’Associazione religiosa degli istituti sociosanitari (Aris), sulle difficoltà enormi del privato accreditato nella gestione dei pazienti cronici e dei più fragili. Anche perché la crisi energetica morde – e morderà – nelle strutture sanitarie sempre di più, con i prevedibili problemi di sostenibilità che stanno già affrontando le imprese e le famiglie. Le (poche) novità riguardano: lo sviluppo delle “farmacie dei servizi” proposto dal centrosinistra (strutture di prossimità in raccordo con le case di Comunità e con la rete delle farmacie) e ripreso in un breve passaggio anche nel programma specifico della Lega; il nuovo Piano pandemico e la revisione del Piano oncologico evocati dal centrodestra; l’istituzione di una “Protezione civile sanitaria” da parte di Azione-Italia Viva (formata da professionisti e volontari addestrati al contrasto alle pandemie e più in generale alla prevenzione, che tuttavia non si comprende dove possano essere trovati data la carenza di personale sanitario di cui sopra). Sempre nel programma della Lega – e non in quello più generale della coalizione – compare il tema spinoso della «libertà di scelta terapeutica»: vaccini non più obbligatori e la previsione di un indennizzo da parte dello Stato per chiunque abbia riportato lesioni o infermità in seguito alle profilassi (indennizzo che in realtà già esiste per legge dal 1992 e che è stato recentemente integrato per ricomprendere in maniera più specifica anche la casistica dei vaccini contro il Covid-19). Mentre in quello di Fratelli d’Italia si fa esplicito riferimento all’abolizione totale del Green pass («nessuna reintroduzione») e alla costituzione di una commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid e sulle reazioni avverse da vaccino. Un fronte, quello dell’approccio al virus e alla campagna vaccinale, su cui si è misurata e si misurerà forse nella maniera più netta la divergenza tra la sanità sognata a destra e sinistra: da un lato il fronte del “no” a restrizioni e obblighi, dall’altro quello della prudenza come bussola anche a costo di scelte dolorose. L’esito delle elezioni, da questo punto di vista, dirà da subito molto di come affronteremo il prossimo autunno pandemico. Per il resto, il futuro della sanità resta un’incognita, o quasi. I manifesti dei partiti in pillole PD Per il Pd «negli ultimi due anni, con 30.800 nuove borse di studio, è stato finalmente superato lo storico problema dell’imbuto che limitava l’accesso alle scuole di specializzazione dei neolaureati in medicina». Ora «serve un Piano straordinario per il personale del Ssn». Sanità territoriale, “farmacie dei servizi” e liste d’attesa dimezzate gli altri punti salienti. MOVIMENTO 5 STELLE Il Movimento 5 Stelle chiede «diritto universale alle cure». Pochi e asciutti i punti in programma: «Basta interferenze della politica nelle nomine dei dirigenti sanitari, riforma del titolo V della Costituzione, potenziamento e accessibilità alle terapie innovative, incentivi per i pronto soccorso, aumento delle retribuzioni per il personale sanitario». AZIONE - ITALIA VIVA «Riformare i meccanismi di coordinamento tra Stato e Regioni», cioè il titolo V della Costituzione, sta a cuore anche al Terzo polo. Che punta poi a una nuova e «più trasparente collaborazione tra pubblico e privato» e alla strutturazione di un adeguato sistema di prevenzione tramite l’istituzione di una “Protezione civile sanitaria”. Via le liste d’attesa. LEGA - FORZA ITALIA - FRATELLI D'ITALIA I punti comuni della coalizione sono: sviluppo della sanità di prossimità e della medicina territoriale, aggiornamento dei piani pandemici, abbattimento dei tempi delle liste di attesa, riordino delle scuole di specializzazione e revisione del Piano oncologico nazionale. Lega e Fratelli d’Italia insistono sulla linea morbida sul Covid: mai più obblighi. da AVVENIRE.IT

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