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  • 10/12/2022 15:29

I tre BIG che controllano il mondo economico

Harvard, se si superano i 20 trilioni nel 2030 e si vola verso i 30 trilioni nel 2040, allora la cassa sarà pari a metà del PIL dell’intero pianeta Terra. Come è possibile che, sommando tutti gli addetti dei 3 Big, pari a 35.000 persone, si possa gestire una simile massa finanziaria che è equivalente a quella prodotta da metà della popolazione, ovvero 3,5 miliardi di umani? Sta succedendo qualcosa di grave. Hanno ragione le antitrust dunque (ma sono in grado di intervenire?). Se c’è, dov’è il trucco? Una prima risposta “tecnica” ce la fornisce Enrico Marro dalle colonne de Il Sole 24 Ore: “Va chiarito che il principale driver della crescita è rappresentato dalla gestione passiva: ovvero dagli ETF, destinati a toccare i 25mila miliardi di dollari di masse gestite entro i prossimi sette anni secondo le stime di Jim Ross, presidente di State Street". Gli ETF, ovvero gli Exchange-Traded Fund, sono un tipo di fondi d'investimento appartenenti agli ETP (Exchange Traded Products), ovvero alla macro famiglia di prodotti a indice quotati, aventi il fine di replicare un indice di riferimento (benchmark) con interventi minimi. Diversamente dai fondi comuni d'investimento e dalle SICAV, hanno gestione passiva, sono svincolati dall'abilità del gestore e sono quotati in borsa con le stesse modalità di azioni ed obbligazioni. Gestione passiva significa che il loro rendimento è legato alla quotazione di un indice borsistico (che può essere azionario, per materie prime, obbligazionario, monetario etc.) e non all'abilità di compravendita del gestore del fondo. L'opera del gestore si limita a verificare la coerenza del fondo con l'indice di riferimento (che può variare per acquisizioni societarie, fallimenti, crolli delle quotazioni ecc.), nonché correggerne il valore in caso di scostamenti tra la quotazione del fondo e quella dell'indice di riferimento, che sono ammessi nell'ordine di pochi punti percentuali (1% o 2%). La "gestione passiva" rende tali fondi molto economici, con spese di gestione solitamente inferiori al punto percentuale, e quindi competitivi nei confronti dei fondi attivi. La loro diversificazione grande o enorme, unita alla negoziazione borsistica, li rende competitivi nei confronti dell'investimento in singole azioni. Et voilà ! Sono nati negli Stati Uniti nel 1993, negoziati nell'AMEX per riprodurre l'andamento dell'indice Standard & Poor 500; (in Italia sono stati quotati a partire dal 2002). Gli ETF si possono definire anche "cloni finanziarii" perchè imitano fedelmente l'andamento di un determinato indice. Continua Enrico Marro: "Ormai esistono “cloni” di ogni tipo, da quelli legati alle quote rosa a quelli che seguono la Bibbia, da quelli che investono ascoltando Twitter a quelli guidati dalle intelligenze artificiali o che puntano sulla marijuana terapeutica. Senza contare gli ETF che seguono sofisticate strategie “smart beta”, più o meno controcorrenti, talvolta stravaganti. Manca solo un “clone” sul Bitcoin, bloccato sul nascere dalle autorità di regolamentazione statunitensi per ovvi motivi di stabilità finanziaria e di buonsenso". Vorrei aggiungere a questa spiegazione tecnica alcune considerazioni di macro politica finanziaria. Prima del boom delle borse, e in dettaglio prima dell'avvio di Nasdaq, che ha sostituito la compravendita "umana" con la compravendita digitale gestita da algoritmi, il Valore di Scambio (capitalizzazione finanziaria) era fortemente correlato con il Valore d'Uso (prodotto dall'economia reale). Semplificando si può dire che la ricchezza materiale (il PIL) aveva un suo contrappasso ragionevole nella ricchezza trattata nelle borse. Con l'avvento di Nasdaq e la prima collocazione in borsa delle società "all digital" la finanza inizia un percorso di virtualizzazione numerica, favorito dagli scambi digitali che avvengono in uno spazio tempo in cui la velocità e i volumi tendono a infinito mentre i tempi d'accesso e di scambio tendono a zero. In questa nuova "dimensione numerica-finanziaria" la produzione di valore di scambio viene esaltata e cresce esponenzialmente il suo volume "slegandosi" dal contrappasso materico (l'economia reale). Ciò ha consentito agli speculatori di accedere alla produzione e gestione di masse finanziarie sterminate, che vengono create in continuazione semplicemente grazie alla moltiplicazione degli "scambi" e non hanno a che vedere con l'economia materica reale. Tant'è che è noto ormai che per ogni dollaro o euro corrispondente a valore d'uso (economia reale) esiste in circolazione nelle borse (secondo il FMI ) un valore equivalente un po' maggiore. Così ce la racconta l'FMI. Secondo altre fonti però il valore della capitalizzazione nelle borse sarebbe da 4 a 8 volte superiore a quello del PIL planetario. Ecco un'altra spiegazione - abbastanza sconcertante - del perchè 35.000 addetti gestiscono un valore equivalente a quello che viene prodotto da 3,5 miliardi di umani. Vediamo ora la scena dal punto di vista delle norme. Nel 1933 in USA il Banking Act venne inserito all'interno della più ampia legge Glass-Steagall Act. Era la risposta alla crisi finanziaria del 1929, mirata a introdurre misure per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari e prevenire le situazioni di panico bancario. Tra le misure si prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. In base alla legge, le due attività non poterono più essere esercitate dallo stesso intermediario, realizzandosi così la separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Si impediva, di fatto, che l'economia reale fosse direttamente esposta all'influenza della finanza. A causa della sua successiva abrogazione nel 1999, nella crisi del 2007 è accaduto invece proprio il contrario: l'insolvenza nel mercato dei mutui subprime, iniziata nel 2006, ha scatenato una crisi di liquidità che si è trasmessa immediatamente all'attività bancaria tradizionale, perchè quest'ultima era in commistione con l'attività di investimento. Tra gli effetti dell'abrogazione si è permesso la costituzione di gruppi bancari che, al loro interno, consentono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l'attività bancaria tradizionale sia l'attività assicurativa e di investment banking. Dopo la nuova Grande recessione del 2008, durante la presidenza Obama, si tentò di ripristinare almeno parzialmente la Glass Steagall con il Dodd-Frank Act. In realtà la porta si era aperta e i buoi erano già tutti scappati. Oggi alcuni osservatori ritengono che la marcia trionfale dei Mutual Funds è stata resa possibile proprio dall'abrogazione del Glass-Steagall Act. E infatti l'entità del cambiamento è sorprendente: dal 2007 al 2016, i fondi gestiti attivamente hanno registrato deflussi per circa 1.200 miliardi di dollari USA, mentre i fondi indicizzati hanno avuto afflussi di oltre 1.400 miliardi di dollari USA. Giungiamo ora a delle considerazioni-conclusioni di ordine storico filosofico che riguardano il comportamento collettivo della specie umana. A seguito delle Grandi Rivoluzioni si era diffusa l'idea di uguaglianza e i Diritti, in alcune stagioni, apparivano migliori degli Interessi. Ciò rimandava all'idea di distribuzione della ricchezza, da perseguire grazie alla contrattazione tra Forza Lavoro e Capitale. Era un'azione che si conclamava con l'ipotesi che i mezzi di produzione dovessero appartenere a chi produceva di fatto la ricchezza e non ai Padroni del Capitale. Nonostante le molte battaglie civili e politiche, con la resa incondizionata dell'URSS e il tramonto delle idee socialiste e comuniste, il capitalismo e i suoi succedanei hanno vinto il braccio di ferro con le masse operaie e contadine e con la classe di intellettuali che li sostenevano. Le Elites hanno imposto un neoliberismo che si fonda non più e non solo sull'egemonia derivante da accumulo di plusvalore ricavato dalla produzione di merci, ma su una serie di nuove fonti di reddito, tra le quali brilla - come descritto - la produzione incontrollata di valore di scambio nelle borse. Ebbene, è qui che si è posta la scelta da parte della popolazione mondiale negli ultimi 30 anni: è meglio lottare per possedere i mezzi e le infrastrutture di produzione o è meglio tentare di partecipare agli utili che il sistema neoliberista produce in borsa? Visto lo scarto svantaggioso tra i volumi dell'economia reale e quelli della finanza-numerica; viste le aliquote di tassazione rispettive che favoriscono la finanza; unitamente alla propaganda politica, alla seduzione della pubblicità e all'induzione di stili di vita favorevoli al liberismo individualista, la scelta si sta sempre più orientando verso la seconda opzione. E così la weltanschaung anglo-american neoliberista, caratterizzata dall'accettazione della "scommessa" batte ai punti le visioni caratterizzate dalla ricerca delle "certezze". In questo momento decine (forse centinaia) di milioni di risparmiatori e milioni di piccole e medie aziende non re-investono i propri risparmi e le proprie eccedenze di capitale in strutture produttive e solo un'esigua minoranza immagina di generare lavoro per sé e per i propri "uguali". Non ci pensano proprio! Non appena c'è un po' di risparmio, un trattamento di fine rapporto, un lascito ereditario o un capitale immobilizzato, la stragrande maggioranza cerca "una via breve" per farlo fruttare, ovvero il modo migliore di investirlo per trarne utili e rendite di posizione senza affaticarsi e preoccuparsi "del prossimo". Un dato eloquente: secondo un’analisi di Morningstar riportata dal Financial Times, BlackRock e Vanguard nel 2018 hanno raccolto da soli il 57% di quanto affluito globalmente nel variegato panorama dei fondi comuni. Diciamo che nell'eterno oscillare tra individualismo e solidarietà collettiva, il polo che rappresenta gli interessi personali immediati e misurabili sta conducendo la partita su un terreno che è totalmente sfuggito al controllo dell'Umanesimo solidale. Per tornare all'argomento Mutual Funds e concludere: sono in molti a ritenere che sia tutto lecito e che il loro successo sia determinato da circostanze storiche e conoscenze alte e superiori alla media delle capacità di massa. Ma si sa che dietro questa immagine di efficienza si celano pratiche molto opache e ambigue. Pratiche che potrebbero consentire perfino, viste le enormi quantità di denaro in ballo, di comprare non solo i manager delle aziende ma anche i Governi e le Opposizioni delle democrazie. Teniamone conto Giornalista professionista, scrittore. Ex media international editor per La Repubblica, ex Responsabile relazioni con la Stampa Estera della RAI. Attualmente è Direttore della Web Tv Homo Sapiens. BlackRock gestisce un patrimonio totale di 7,5 trilioni di dollari I Big Three sono i maggiori azionisti in quasi il 90% delle società in cui la maggior parte delle persone investe State Street Global Advisors gestisce circa 3 trilioni di dollari BlackRock e Vanguard nel 2018 hanno raccolto da soli il 57% di quanto affluito globalmente nel variegato panorama dei fondi comuni The Vanguard Group gestisce un patrimonio pari a 6,2 trilioni di dollari I Big 3 sono in grado di condizionare gli indirizzi di ogni area di attività BlackRock gestisce un patrimonio totale di 7,5 trilioni di dollari I Big Three sono i maggiori azionisti in quasi il 90% delle società in cui la maggior parte delle persone investe State Street Global Advisors gestisce circa 3 trilioni di dollari BlackRock e Vanguard nel 2018 hanno raccolto da soli il 57% di quanto affluito globalmente nel variegato panorama dei fondi comuni The Vanguard Group gestisce un patrimonio pari a 6,2 trilioni di dollari I Big 3 sono in grado di condizionare gli indirizzi di ogni area di attività

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