Quando la cronaca diventa odio: il giudizio facile
Quando la cronaca diventa odio: il giudizio facile dei social
Sui commenti in rete spuntano accuse e stereotipi: “ubriaco, drogato, ladro”. Ma dietro ogni tragedia c’è sempre una storia umana
La notizia della morte di un uomo, deceduto dopo essere fuggito a un posto di blocco, ha acceso la rete. In poche ore i social si sono riempiti di giudizi sommari: “era ubriaco”, “sicuro drogato”, “un ladro in meno”.
Un linguaggio che riduce la complessità di una vicenda drammatica a tre etichette, semplificando la realtà e cancellando ogni sfumatura.
Si tratta di un meccanismo frequente: etichettare la vittima permette a chi commenta di sentirsi distante, al sicuro. Se “era un drogato”, allora la tragedia non riguarda noi. Se “era un ladro”, possiamo convincerci che se la sia cercata. Ma questa è una scorciatoia pericolosa: serve a difendere sé stessi dal dolore, ma priva di umanità chi non c’è più.
La cronaca, invece, racconta spesso di fughe nate dal panico, da paure sproporzionate, da fragilità personali. Non tutte le vittime sono criminali, e anche quando lo fossero, il rispetto per la vita non dovrebbe venir meno. Dietro un incidente fatale c’è sempre una famiglia che soffre e una comunità che si interroga.
Sta alla società decidere come reagire: se con il giudizio rapido di un commento social, o con la maturità di un momento di silenzio. Perché la dignità umana, anche nell’errore, non dovrebbe mai diventare terreno di insulti.