Francesco Burlamacchi, il ribelle che sognò la libertà delle città toscane
C’è un nome che a Lucca non dovrebbe mai restare in ombra: quello di Francesco Burlamacchi. Nato nel 1498 in una delle famiglie più in vista della città, arrivò fino alla carica di Gonfaloniere di Giustizia, il massimo grado della Repubblica lucchese. Un uomo di potere, sì, ma con un sogno che andava oltre i confini delle mura.
Il suo progetto era visionario: una lega di città libere – Lucca, Pisa, Siena – unite per liberare la Toscana dal dominio imperiale e dall’ingombrante presenza dei Medici a Firenze. Un’idea che oggi suona quasi da anticipatore del Risorgimento, ma che nel Cinquecento significava cospirazione.
Il piano di Burlamacchi non si realizzò mai: venne scoperto, arrestato e portato a Milano. Nel 1548 pagò con la vita quel sogno di libertà, decapitato per ordine dell’imperatore Carlo V.
Eppure la sua memoria non si spense. Nell’Ottocento, quando l’Italia stava cercando la sua unità, Burlamacchi fu riscoperto come “martire della libertà”. Dal 1863 la sua statua in piazza San Michele lo ricorda con la spada e il libro della legge, testimone di un’idea che andava oltre il suo tempo.
Oggi, nel pieno delle nostre abitudini lucchesi, vale la pena alzare lo sguardo verso quella statua. Non solo un arredo urbano, ma il segno di un concittadino che ebbe il coraggio di immaginare una Toscana diversa. Un visionario, un ribelle, un personaggio che merita di restare nella memoria collettiva della città.