Sedici suore, un Vin Santo e un ristoratore che ignora completamente la parola “normale”
A Lucca succedono cose tranquille: gente che passeggia sulle mura, studenti che cercano parcheggio come se fosse una caccia al tesoro, turisti che si perdono convinti di star facendo un’esperienza spirituale. Poi invece succede la scena che cancella tutto il resto: sedici Suore Barbantine entrano nella Trattoria XXXXX.
Non un ristorante qualunque: parliamo di un luogo dove teschi pendono dal soffitto come fossero lampadari IKEA, quadri improbabili arredano le pareti, e i centrotavola sembrano suggerire “forse dovrei preoccuparmi ma ormai sono seduto”.
E al centro di tutto, lui: Ubaldo. L’uomo che ha deciso che chiamare un vino “vino del cazzo” fosse una scelta perfettamente sensata, quasi poetica. Uno con cuore grande, zero filtri e fantasia culinaria leggermente sovversiva.
Diciamocelo: meno male che a queste povere suore quel vino NON l’ha servito… se no avremmo avuto due possibilità : scomunica immediata,risate fino alla canonizzazione.Conoscendole, forse la seconda.
La storia nasce per caso: Ubaldo scopre che le suore hanno la stessa dottoressa. In qualsiasi universo razionale, questa informazione finirebbe lì. Nel cervello di XXXXXXXXX invece si accende un neon: “Invitiamole a pranzo.”
E la cosa ancora più assurda? Le suore rispondono subito: “Sì.”
Arriva il giorno. Entrano, una fila bianca quasi coreografica. I clienti smettono di masticare. Una signora sussurra: “È un flash mob religioso?” Nessuno lo saprà mai.
Le suore si siedono, sorridono, osservano l’arredamento gotico-pop come chi pensa “Dio ha senso dell’umorismo, usiamolo”. Poi parte il pranzo: farro, tortelli al ragù, rovellina con polenta, zuppa inglese, cantucci, Vin Santo. Tutto buono, tutto lucchese, tutto servito con rispetto. Niente vino proibito, grazie al cielo.
Tra una portata e l’altra si alzano, cantano “‘O surdato ’nnammurato”, distribuiscono santini come se fossero volantini di un concerto e benedicono pure le cameriere. Turisti e locali iniziano a fare foto: per molti l’esperienza più mistica dai tempi della cresima.
Poi arriva il gran finale: Vin Santo in mano… e lo staff che canta Alleluia. Non una scena ridicola: una scena incredibilmente felice.
A fine pranzo, la madre superiora invitaXXXXX da loro per ricambiare.
Si dice che lui abbia risposto: “Volentieri… ma portate pazienza: vengo senza teschi.”
Alla fine, la morale è semplice: non servono miracoli per unire mondi diversi.
A volte basta una tavola, un po’ di coraggio, un bicchiere di buon vino (non quello lì), e qualcuno che non ha paura di dire:
“Facciamolo. Male che vada, ci divertiamo.”
Il Piccolo Osservatore Lucchese