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  • 08/03/2024 01:16

Il fuggifuggi di medici e infermieri dai nostri ospedali

Il fuggifuggi di medici e infermieri dai nostri ospedali: da Exopsanità le soluzioni per fermare la grande fuga Dal 17 al 19 aprile a BolognaFiere quattro giorni per affrontare i problemi della sanità pubblica. E spunta, tra le idee, quella del leader gentile Exposanità: Ci sta cuore chi cura. Investire sul personale sanitario arginando la grande fuga dal servizio nazionale per garantirne la tenuta. Migrazione sanitaria e ricadute dell'autonomia differenziata sul SSN. Sono alcuni dei macrotemi che saranno affrontati nella tre giorni di Exposanità, in programma a BolognaFiere dal 17 al 19 aprile. Al tema delle risorse, la vera urgenza, è dedicato il convegno inaugurale di Exposanità dal titolo Investire sui professionisti per la tenuta del SSN (17 aprile) a cui parteciperà Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE. La scarsità delle risorse umane è un tema che riguarda tutte le regioni, anche quelle del Nord a partire da Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna. «La fotografia del 2021 del ministero della Salute - conferma Cartabellotta - rileva 715.959 unità di personale di cui 617.246 dipendenti del SSN (86,2%), 80.615 dipendenti delle strutture equiparate a quelle pubbliche (11,3%), 9.978 universitari (1,4%) e 8.120 con altro rapporto di lavoro (1,1%). Complessivamente il ruolo sanitario ammonta al 72,2%. Rispetto alla media nazionale dei medici dipendenti (2,11 per mille abitanti) il Piemonte (2,07 per mille abitanti) e la Lombardia (2,01 per mille abitanti) si trovano al di sotto. L’Emilia-Romagna registra invece una posizione sopra media (2,27 medici ogni mille abitanti)». Il caso del personale infermieristico Sul fronte del personale infermieristico, prosegue Cartabellotta, «rispetto ad una media nazionale di 5,06 per mille abitanti, l’Emilia Romagna si colloca al 2° posto con 6,68 infermieri per mille abitanti; il Piemonte si mantiene sopra la media nazionale (5,53 per mille abitanti), mentre la Lombardia è sotto media (4,68 per mille abitanti), con valori simili a numerose regioni del Sud». Peraltro, «essendo aggiornati al 2021, questi dati non “leggono” la grande emorragia di personale dal SSN avvenuta prevalentemente negli anni successivi, post-pandemia. Ecco perché, al di là dei singoli numeri occorre investire sul personale sanitario, programmare adeguatamente il fabbisogno di tutti i professionisti sanitari, riformare i processi di formazione, valutazione e valorizzazione delle competenze secondo un approccio multi-professionale». La fuga del personale non è l'unica incognita nel futuro del Servizio Sanitario Nazionale. Se dovesse passare l’autonomia differenziata per la Sanità del Mezzogiorno sarebbe forse il colpo di grazia, condannando i cittadini alla migrazione sanitaria in massa. Ma le Regioni del Nord sarebbero in grado di farvi fronte? «È proprio questo il punto- ragiona Cartabellotta-. Se ci soffermiamo sulle Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi (Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto), da un lato le maggiori autonomie potenzieranno indubbiamente le loro capacità di erogazione di servizi e prestazioni sanitarie, indebolendo le Regioni del Centro-Sud, incluse quelle a statuto speciale. Ad esempio, la richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con 'migrazione' del personale dal Sud al Nord». Tuttavia, avverte il presidente della Fondazione GIMBE, "l’ulteriore indebolimento dei servizi sanitari nelle Regioni meridionali rischia di avere un effetto paradosso anche su quelle del Nord con le migliori performance. Infatti, la crisi di sostenibilità del SSN oggi non consente nemmeno alle ricche Regioni del Nord di aumentare la produzione sanitaria oltre un certo limite. Di conseguenza un incremento della mobilità attiva verso queste Regioni rischia di peggiorare l’assistenza sanitaria per i propri residenti". Il pronto soccorso Uno dei principali punti di sofferenza è il pronto soccorso. Diventato purtroppo, constata Cartabellotta, «il “collo di bottiglia” dove confluiscono tutte le criticità dell’assistenza territoriale. Da un lato l’eccesso di afflusso di pazienti con patologie non gravi (codici bianchi e verdi) che potrebbero essere tranquillamente gestiti nell’ambito delle cure primarie e per i quali la Regione Emilia-Romagna sta sperimentando con successo i Centri di Assistenza e Urgenza (CAU). Dall’altro le difficoltà di deflusso verso i reparti di degenza, aspetto di cui si parla molto meno, ma che determina conseguenza più gravi: infatti, la lunga permanenza in pronto soccorso dei pazienti peggiora il loro stato di salute e aumenta la mortalità". Il problema, aggiunge, «consegue all’impossibilità di trasferire questi pazienti nei reparti più idonei a trattare la loro patologia. Reparti che, a loro volta, non riescono a liberare posti letto per l’impossibilità di dimettere pazienti potenzialmente “dimettibili” dall’ospedale, ma che non trovano sul territorio un’adeguata rete di servizi (ospedali di comunità, assistenza domiciliare, strutture residenziali) in grado di assisterli per bisogni spesso più di tipo assistenziale che medico». E proprio diversi momenti di Exopsanità saranno dedicati al tema dei pronto soccorso. Il 17 aprile il workshop Riorganizzare la rete dell’emergenza urgenza: proposte per l’evoluzione dei servizi. Il 18 aprile: Tecnologie e progettazione a supporto dei servizi di pronto soccorso; Il ruolo delle cure primarie per la prevenzione e la gestione della cronicità. Le esperienze più innovative delle aziende USL; Le nuove sfide dell’Ospedale 4.0. Ripensare il Pronto Soccorso, promosso da CNETO. estratto da : https://www.lastampa.it

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