Politicamente scorretto…
Ci riferiamo al “giornalismo sensazionalista” che, ormai, investe tutto e tutti. In questo ci viene in soccorso un grande collega del passato Sergio Turone che nel suo volume “Come diventare giornalisti, senza vendersi” edito da La Terza affermò con forza che lo considerava il tristo espediente di sedicenti giornalisti senza altre risorse per rendersi utili alla società.
Credo che sia giunto il momento in cui bisogna dirsi la verità, senza alcun infingimento. Suddito o cittadino? Questo è il dilemma dell’italiano! Definirsi “popolo” è forse un po’ azzardato in quanto la famosa Treccani recita che “popolo è un gruppo di esseri umani, che occupano un’area geografica definita, spesso costituiti in collettività nazionale”. Per l’area geografica forse ci siamo, anche se non totalmente mentre per “collettività nazionale” non ci siamo tranne, forse, quando la nazionale di calcio vince e il tricolore lo si trova ovunque. Sempre dal vocabolario si legge che è suddito “colui il quale è subordinato ad una monarchia” e non allo Stato o, meglio ancora, alla Nazione mentre è cittadino chi appartiene a uno Stato e per questa sua condizione è soggetto ad alcuni doveri e gode di alcuni diritti anche se, molto spesso, l’italiano chiede diritti e raramente si attribuisce doveri. Qualcuno, forse, dirà che c’è dell’esagerazione si proverà a cercare di portare alcuni esempi significativi. Il primo ce lo fornisce addirittura Deng Xiaoping, il padre dell’apertura della Cina al libero mercato, che saggiamente affermò “Non importa che il gatto sia bianco o nero; ciò che importa è che acchiappi i topi”. In Italia, invece, si guarda al colore del felino e non tanto se sappia o meno prendere i topi! È sintomatico ciò in quanto, non avendo fatto mai i conti con la nostra Storia, si affibbiano etichette e/o pregiudizi in base al sentito dire o, peggio ancora, a quanto affermano i media. In questo aiutati da un tipo di giornalismo diffuso sia in Tv che sui giornali. Ci riferiamo al “giornalismo sensazionalista” che, ormai, investe tutto e tutti. In questo ci viene in soccorso un grande collega del passato Sergio Turone che nel suo volume “Come diventare giornalisti, senza vendersi” edito da La Terza affermò con forza che lo considerava il tristo espediente di sedicenti giornalisti senza altre risorse per rendersi utili alla società. Giornalismo adatto a certe politiche editoriali di basso profilo. Un paragiornalismo per sala d’attesa. Da questo è sbocciato, si fa per dire, “l’invasione della narrazione” che trova illustri e stimati interpreti in Gruber, Annunziata, De Gregorio, Formigli, Giannini, Floris, Gramellini, Purgatori, Parenzo, Berlinguer, Santoro, Travaglio, Scanzi, fino a Casaleggio che decretò la fine della democrazia parlamentare con un attacco forsennato al Parlamento insieme a Grillo e i 5 stelle in nome di Rousseau, padre di tutti i totalitarismi. Tutto questo ha aumentato a dismisura le possibilità di affermare qualsiasi cosa da parte di chiunque senza che ci sia una riflessione vagamente critica di quanto scritto o affermato. Proprio ieri un ministro della Repubblica, competente in materia, a fronte della speculazione in atto sui carburanti, che stranamente scatta quando milioni di italiani si mettono in viaggio per le meritate vacanze, ha invitato gli automobilisti che se trovano “anomali” i prezzi del carburante facciano denuncia ed è un ministro che ha fatto campagna elettorale contro le “accise” sui carburanti. Ma i controlli, nelle forme previste dalle leggi, no le devono fare lo Stato e gli organi a ciò preposti e anche pagati per questo? Un altro ministro per il colpo di Stato nel Niger auspica “il ripristino della democrazia” che come auspicio va bene, ma chi ha le responsabilità in materia non può rifugiarsi dietro semplicisti appelli che qualsiasi persona di buon senso può fare. Per non parlare poi delle “mitologie spropositate costruite da decenni da una nomenklatura culturale” che si è auto assegnato il compito divino di dividere il mondo in buoni o cattivi costruendo aloni mistici su soggetti in modo arbitrario, immeritato e, a dir poco, fazioso. E poi il settore di chi le spara più grosse che, per carità di Patria, ne citiamo solo due: la prima riguarda un grande sindacalista del dopoguerra, Giuseppe Di Vittorio, che scrisse in un articolo apparso su Vie Nuove, una rivista legata al PCI, “che Wall Street teme la Cgil. I lavoratori italiani di ogni genere ne sono fieri. Possiamo perciò assicurare Wall Street e i suoi servi che non è in loro potere intaccare l’unità della Cgil” oppure quella di Antonio Bassolino che osò accostare la figura del Di Vittorio a Padre Pio.
Come non segnalare i ridondanti peana commemorativi con forti ondate di sdegno e commozione che inondano TV e stampa in cui si vedono sfilate di soggetti che, come succede ogni anno per Giovanni Falcone ad esempio, i cortei sono spesso guidati da molti di coloro che lo avevano fortemente criticato ed avversato in vita. Il tutto sotto l’egida di una sedicente borghesia illuminata che ha contribuito, in tutti i modi, a costruire con un atto di fede calato sulle masse popolari di un vero e proprio partito-chiesa, unico detentore di un’ideologia salvifica.
In un Paese normale sarebbe stato seppellito tutto ciò in Italia, invece, è un’eredità che ci portiamo ancora sulle spalle e che ancora continua a mietere vittime. Queste finzioni in cui ad ognuno è stato assegnato un ruolo nessuno decide mai niente e dove, un numero esorbitante di corporazioni, continua a nutrirsi a sbafo della collettività che si è convinta di essere suddita e, forse, nemmeno si pone più il problema di abbandonare questo ruolo predefinito. Un esempio ce lo dà la vicina Francia, ma ce ne sono tanti altri in Gran Bretagna, Spagna, Grecia e Portogallo solo per citarne alcuni ed è la Storia dei loro Paesi in cui dimostrano di essere “cives” nei rapporti con gli Stati Uniti in uno schema di lealtà e non di sudditanza. A tal proposito è da ricordare il giornalista e scrittore francese Frédéric Charpier che, nel 2008, ha pubblicato: La CIA in Francia. 60 ans d’ingérence dans les affaires françaises, ed. Seuil. In questo interessantissimo saggio Charpier svela come per sessanta anni decine di agenti americani, il più delle volte sotto copertura ufficiale, hanno compiuto innumerevoli operazioni clandestine in Francia, infiltrandosi, finanziando e manipolando sindacati, partiti politici, fondazioni, istituti, agenzie di stampa, giornali o associazioni culturali. La CIA riuscì a penetrare, inoltre, nell’alta amministrazione, nel mondo accademico e intellettuale, e a seguire da vicino la ricerca nucleare e aeronautica francese. Oggi, ha concluso Charpier, la CIA continua la sua attività, più discretamente rispetto a prima, nel campo dello spionaggio industriale. La CIA in Francia ha alzato il velo su questo tabù costituito dall’intervento clandestino degli Stati Uniti. Nutrito di testimonianze inedite e archivi ufficiali, questo libro ha ripercorso più di mezzo secolo di operazioni segrete e ha ritratto gli attori principali di questa ininterrotta politica di ingerenza. Alla fine, avendo la Francia un forte sentimento di appartenenza nazionale, gli Stati Uniti hanno rispettato ancor più Parigi accettando le critiche.
In Italia invece questo non è stato possibile in quanto chi ci ha provato è stato respinto dalla corporazione degli editori dei libri.
Raffaele Romano
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