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  • 13/03/2024 02:17

LA RIVOLUZIONE (E IL SOGNO) DI FRANCO BASAGLIA

Eugenio Borgna* Non ho mai incontrato Franco Basaglia, ne conoscevo le idee, che inizialmente non mi sentivo di condividere. In quegli anni ero direttore di uno dei due manicomi, quello femminile, di Novara. Un manicomio, il nostro, nel quale psichiatre e psichiatri, sorelle religiose e infermiere, collaboravano nel rispetto della libertà e della dignità, delle attese e delle speranze ferite, delle pazienti. Il manicomio era nel cuore della città, e non in periferia, come tutti i manicomi italiani. Non c’erano porte chiuse, non contenzioni, che continuano ad esserci anche oggi in non pochi servizi ospedalieri di psichiatria, non giornate e giornate di esclusione in stanze infelici. Cose, queste, che erano facili in un manicomio femminile, e non lo erano in un manicomio maschile. La follia femminile è più gentile e più mite di quella maschile, la violenza non ne fa parte, e la disponibilità alle cure e alla convivenza sociale è molto più alta. Sono cose, queste, che ho poi constatato nel servizio di psichiatria ospedaliera di Novara, quando i manicomi sono stati chiusi. Non posso non dire che ho visto poi un manicomio di Milano, e ne sono rimasto angosciato e terrorizzato, comprendendo le ragioni che inducevano Basaglia alla sua coraggiosa e apparentemente temeraria battaglia contro la sopravvivenza dei manicomi italiani, contrassegnati dalla indifferenza alla sofferenza e alla angoscia delle pazienti e dei pazienti. Chiuso nelle mura del manicomio di Novara, non mi accorgevo della insostenibile condizione di vita degli altri manicomi, ho potuto poi conoscere le realizzazioni di Basaglia a Gorizia e a Trieste, e ne sono stato folgorato. Non immaginavo che l’alternativa alle violenze, che constatavo nei manicomi di Milano, fosse solo quella di chiuderli. Mi chiedevo nondimeno come sarebbero state seguite le pazienti e i pazienti, con le loro angosce e con la loro disperazione. Mi sono riconosciuto negli ideali di Basaglia, il grande respiro non solo umano, e anche spirituale, che li animava, ma le sue idee mi sembravano sogni, o illusioni, e invece hanno cambiato il mondo. Sì, immaginavo che psichiatre e psichiatri giovani, infermiere e infermieri motivati e animati da entusiasmo, assistenti sociali più numerose, e la presenza delle sorelle religiose, come erano a Novara, potessero rinnovare il modo di avvicinarsi alle pazienti e ai pazienti. Sono state illusioni, come constatavo a Milano, e allora non era davvero possibile non giungere alla chiusura degli ospedali psichiatrici: cosa che Basaglia dimostrava a Trieste come possibile, e non utopica. Ne conseguiva la legge di riforma del 1978 che ne sanciva la definitiva chiusura, e il modo di fare psichiatria cambiava radicalmente. Non più manicomi, stracolmi di pazienti, ma la territorializzazione della psichiatria: ogni ospedale avrebbe avuto servizi psichiatrici, collegati con ambulatori e con comunità di cura, che consentivano di curare, e di prevenire, i disturbi psichici anche nei luoghi di residenza. Una vera rivoluzione, che sembrava impossibile, e che invece si è realizzata. Il cuore di questa rivoluzione, che ha cambiato il modo di fare psichiatria in Italia, si è rispecchiata nelle conferenze tenute da Basaglia in Brasile, nelle quali in particolare diceva che noi psichiatri non possiamo non andare alla ricerca di un ruolo che ci metta, per quanto è possibile, alla pari con chi sta male, in una dimensione umana, in cui la malattia sia messa fra parentesi, consentendoci di avvicinarci il più possibile alla sofferenza psichica, e di coglierne la fragilità e la umanità. La psichiatria manicomiale, che non è nemmeno oggi scomparsa dal modo di agire in alcuni luoghi di cura privati, si radicava nella esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità, alla storia della vita, ai sentimenti, delle pazienti e dei pazienti. La sofferenza psichica non è stata più considerata come qualcosa da analizzare con un gelido sguardo clinico, ma come esperienza umana, ferita dall’angoscia e dal dolore, dalla solitudine e dall’isolamento, che ha bisogno di psicofarmaci, ma anche, e soprattutto, di ascolto e di dialogo, di accoglienza e di gentilezza. I manicomi sono stati chiusi, ed è stata una cosa di straordinaria importanza non solo clinica ma umana; e nondimeno non meno importante è stata in Basaglia la rivalutazione del senso della sofferenza, che è parte della condizione umana, e alla quale noi tutti dobbiamo accoglienza, e rispetto. Sono valori, che non valgono solo nella cura della follia, e sono valori che dovremmo sapere riconoscere nella nostra vita, e non solo in quella incrinata dalla sofferenza psichica. La riforma radicale, alla quale è giunta la psichiatria italiana, la dovremmo tutti considerare come un invito alla solidarietà e alla comunione di ideali, che siano di aiuto alla sofferenza di tante persone. Non guardiamole con indifferenza, e, come non di rado avviene, con paura. Sono sorelle e fratelli che soffrono della loro condizione dolorosa di vita, ma anche della solitudine, in cui sono ancora oggi immerse. Se le incontriamo nella vita, e nella nostra vita, siamo loro di aiuto, ben sapendo che ci sono psichiatre e psichiatri alle quali e ai quali non è estranea la sofferenza psichica, la malinconia in particolare, che è stata fonte di degenze in manicomio. Sì, bastava la condizione di malinconia, e la si curava in un manicomio di quelli che non conoscevano libertà e dignità, gentilezza e mitezza, tenerezza e ascolto, dialogo e umanità. Saremmo ancora in queste condizioni, se Basaglia non fosse riuscito a cancellare la indifferenza etica delle degenze manicomiali. Rivedo con la immaginazione quello che ho visto a Milano, e veniva considerato il migliore della città, e non potrei mai dimenticarla nella sua indifferenza all’immenso dolore delle pazienti e dei pazienti. Sono immagini indelebili di una psichiatria del passato che talora rinasce oggi, ma non con la indifferenza, e con la negazione di ogni umanità, del passato. A Novara nel nostro fragile manicomio femminile, come vorrei dire ancora una volta, si entrava in un mondo indicibilmente diverso, e ne ricordo il pianto e il sorriso, la tristezza e la nostalgia, che si intravedeva negli occhi delle pazienti. *psichiatra https://it.clonline.org/news/cultura/2024/03/11/anniversario-franco-basaglia-eugenio-borgna

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