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  • 19/11/2025 23:05

Il lato oscuro del doping nello sport

Il doping è una pratica che continua a comparire in vari sport, da quelli molto seguiti come calcio e ciclismo fino a discipline meno note. Sebbene l’obiettivo sia migliorare forza, resistenza o recupero, l’assunzione di sostanze dopanti o l’utilizzo di metodi illeciti espone l’organismo a rischi concreti, sia immediati sia a lungo termine. Molti degli effetti non emergono durante la carriera agonistica ma si manifestano negli anni successivi, quando la salute non è più sostenuta da allenamenti intensi, monitoraggio medico e giovane età. I rischi a breve termine variano in base al tipo di sostanza. L’uso di ormoni come eritropoietina o sostanze anabolizzanti può alterare rapidamente la fisiologia del sangue, aumentare la pressione arteriosa, favorire aritmie e alterazioni della coagulazione. Alcuni atleti possono andare incontro a insufficienza renale acuta, disidratazione severa o squilibri elettrolitici. I farmaci stimolanti e i beta-agonisti usati per aumentare resistenza e attenzione possono indurre ansia, aggressività, insonnia e perdita di controllo motorio. Nei casi estremi gli effetti acuti possono portare a collasso cardiocircolatorio, ictus o infarto. A lungo termine l’impatto sull’organismo può essere più grave e spesso irreversibile. L’uso prolungato di sostanze anabolizzanti altera la regolazione ormonale: negli uomini può verificarsi riduzione della fertilità, ipogonadismo, ginecomastia e danni cardiovascolari strutturali; nelle donne possono comparire disturbi del ciclo, voce più profonda, aumento di pelosità corporea e cambiamenti permanenti dell’aspetto fisico. Molte sostanze dopanti hanno effetti documentati su fegato, reni e cuore, provocando fibrosi, insufficienza progressiva e alterazioni del muscolo cardiaco con aumento del rischio di aritmie e morte improvvisa. Il sistema nervoso può essere coinvolto in modo significativo. Alcune sostanze associate al miglioramento delle prestazioni possono modificare equilibrio neurochimico, tolleranza allo sforzo, percezione del dolore e funzioni cognitive. Esiste una documentazione crescente che indica possibili correlazioni tra abuso di determinate pratiche dopanti e patologie neurodegenerative, anche se la relazione non è sempre dimostrabile in modo definitivo. L’uso combinato di doping e traumi ripetuti in sport ad alta intensità fisica può aumentare ulteriormente il rischio di danni cerebrali progressivi. Sul piano metabolico l’abuso di diuretici, ormoni tiroidei e brucia-grassi comporta squilibri che possono alterare peso corporeo, glicemia, massa muscolare e densità ossea. Molti atleti che hanno usato doping durante la carriera riportano negli anni successivi osteoporosi precoce, dolori articolari, ridotta capacità respiratoria e patologie croniche cardiovascolari. Il danno non riguarda solo organi e tessuti. Il doping può generare dipendenza psicologica e comportamenti compulsivi legati alla prestazione e alla percezione del proprio corpo. La sospensione delle sostanze può causare depressione, ansia, perdita di autostima e difficoltà nell’adattarsi a un livello di performance non più alterato artificialmente. La prevenzione richiede informazione chiara, controlli adeguati e una cultura sportiva che riconosca valore al progresso ottenuto nel rispetto della salute. Molti dei problemi osservati tra ex atleti coinvolti nel doping mostrano quanto il prezzo pagato possa superare il vantaggio ottenuto in gara. Il messaggio centrale è semplice: il miglioramento delle prestazioni non può giustificare rischi che possono lasciare conseguenze permanenti sul cuore, sul cervello e su numerosi altri organi, influenzando la qualità e l’aspettativa di vita dopo la carriera sportiva. L.P.

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