Trump e la danza dei dazi: mettili, toglili,
Trump aveva deciso: dazi a tutto ciò che arriva dall’estero. Un po’ come dire “niente più caffè al bar finché non lo coltiviamo nel New Jersey”. Peccato che qualcuno, con calma e una calcolatrice, gli abbia fatto notare un dettaglio tecnico: molti dei prodotti tassati non sono prodotti negli Stati Uniti. Zero. Nada. Neanche una banana patriottica.
E così ecco la scena: Trump firma un nuovo ordine, reverse mode. Via i dazi su oltre duecento alimenti. Caffè? Torna libero. Banane? Riammesse senza pedaggio. Spezie, pomodori, succo d’arancia? Come all’ingresso della domenica: gratis, ma non fate domande.
Motivazione ufficiale: aiutare le famiglie americane e abbassare i prezzi della spesa. Traduzione in italiano corrente: “Ops, forse abbiamo esagerato”.
Sia chiaro: non è una conversione spirituale alla globalizzazione, nessuna fiammella di pentimento politico. È solo che quando la signora in coda alla cassa trova banane a prezzo da gioielleria Tiffany, qualcuno inizia a preoccuparsi seriamente.
Morale: Trump ha messo i dazi, poi li ha tolti, e ora spera che sembri una brillante strategia e non una retromarcia con le quattro frecce.
Risultato finale?
Gli americani tornano a bere caffè importato.
L’economia internazionale respira.
E Trump può dire la sua frase preferita:
“L’ho sempre detto.”
Peccato solo non ricordare quando.